martedì 18 ottobre 2016

Step 4 Leggenda della lavanda

Le storie sull’origine della lavanda hanno una sinfonia generalmente fiabesca. Quella più conosciuta narra di una bellissima fata di nome Lavandula nata e cresciuta fra le lande selvagge della montagna di Lure (Francia), che aveva i capelli biondi e gli occhi blu. Un giorno, la fata si mise in cerca di un bel posto dove andare a vivere e lo fece iniziando a sfogliare un libro di paesaggi, fino ad arrivare alla pagina della Provenza, la quale suscitò nella fata una grande tristezza a causa della sua terra incolta anziché fiorente. Così la fata iniziò a piangere macchiando la pagina della Provenza con le sue lacrime color lavanda. Per cancellare tutte le macchie e rimediare alla sua goffaggine, stese un grande pezzo di cielo blu sulla pagina rovinata. Da quel giorno, la lavanda cresce in quelle terre facendo nascere le fanciulle di Provenza tutte bionde e con occhi blu dalle sfumature color lavanda, sfumature che si accentuano soprattutto quando in estate, al calar della sera, si mettono ad osservare il cielo che scende sulle distese di questa pianta.

Un’antica favola persiana invece racconta un’altra orgine della lavanda: il re di Persia, aveva promesso in sposa ad un potente sultano la sua bellissima figlia, in precedenza affidata ad un giovane e colto tutore dagli occhi azzurri del quale si innamorò perdutamente, ricambiata. Un amore quello tra l’insegnante e la principessa destinato all’infelicità per motivi di Stato e differenza sociale. Ahura-Mazda, il dio egizio della Luce, ebbe compassione di questi due giovani amanti, e così una notte li accolse in cielo fra le sue stelle, lasciando al loro posto sulla terra una piantina di lavanda.

Nella mitologia greca la lavanda, detta anche spighetta di San Giovanni, era dedicata a Ecate, dea lunare assai misteriosa e protettrice delle maghe e degli indovini. Nella notte del solstizio estivo, le streghe che praticavano la magia bianca, quella buona, erano solite offrire un mazzetto di fiori di lavanda come buon auspicio. I superstiziosi invece, nella stessa notte, mettevano le spighette sulle soglie delle porte e delle finestre per allontanare le fattucchiere dalle cattive intenzioni e per proteggersi dalle loro maledizioni.


In antica cina, il colore lavanda pallido non è un colore comune, ma ci sono qualche prodotto tradizionale con il colore lavanda.Ecco un ciotola di ceramica
C'è un processo durante la dinastia Qing si chima smalto,su tutti prodotto di ceramica con il colore singolo, ci sono nero ,bianca, blu, rosso, verde, giallo e lavanda.

Lo smalto è un rivestimento impermeabilizzante coprente a base vetrosa di tonalità chiara, fusibile a temperature di 999 - 980 °C, solitamente applicato a oggetti di ceramica, ma anche su metalli nobili come oro, argento e rame o leghe metalliche quali bronzo, ottone e ghisa, come base per essere decorati o come rivestimento protettivo dalla ruggine e dagli acidi.
La tecnica e la sua diffusione avvenne anche in Estremo Oriente. I primi reperti risalgono alla Cina del XV secolo col nome di Jintailan, letteralmente Jingtai in blu, poiché dedicata esclusivamente alla corte imperiale, all'epoca vestita di blu, dell'imperatore Jingtai (1450-1456 circa) della dinastia Ming
Nella tecnica cinese del XV secolo il supporto veniva sagomato sia mediante la fusione sia mediante la cesellatura, che consisteva nel ridurre il metallo in fogli mediante martellinatura e quindi unirli tra loro. Per tale procedimento si ricorreva più spesso al rame, che è più malleabile del bronzo, mentre quest'ultimo veniva riservato per le superfici e i punti più esposti, come i bordi; le sottili strisce metalliche venivano tagliate da lamine di bronzo lavorate a martello. A queste strisce o fili veniva data la forma richiesta dal disegno e quindi saldati sul supporto metallico. Successivamente, nell'epoca epoca Qing (1644-1911) si ottennero ulteriori miglioramenti, soprattutto sulla sostituzione del rame al bronzo.
Nel cloisonné cinese del XVIII secolo la precedente saldatura del rame allo smalto venne in gran parte sostituita con la colla di riso, che veniva bruciata durante l'applicazione a caldo dello smalto, lasciando che quest'ultimo tenesse a posto i fili. Qualora nel disegno non fosse necessario l'uso dei fili per separare zone di colore diverso, questi venivano ugualmente inseriti formando disegni decorativi superficiali, ad esempio a forma di volute. Lo smalto era formato da un impasto di sabbia, sodio e potassio in diverse proporzioni e, surriscaldato, si scioglieva dando luogo a un tipo di smalto-vetro detto la fritta.
Benché il colore di massa della fritta fosse blu o verde, si poteva ottenere un'ampia gamma di colori mediante l'aggiunta di agenti coloranti, generalmente sotto la forma di ossidi metallici. Inizialmente, durante le dinastie Ming eQing la gamma di colori si limitava al blu, al turchese, al verde scuro, rosso, giallo e bianco, venendo in seguito ampliata omischiata con altri colori.
Il cloisonné o altrimenti chiamato lustro di Bisanzio, è una tecnica di decorazione artistica a smalto, nella quale dei sottili fili (filigrane) o listelli o piccoli tramezzi metallici (di solito rame), alveoli, celle o (detti in francese cloisons) vengono saldati o incollati ad una lastra di supporto dell'opera da costruire; successivamente quindi, nelle zone rilevate dal metallo, viene colato dello smalto, ottenendo quindi una sorta di mosaico le cui tessere sono circoscritte esattamente dai listelli metallici. Questa tecnica è di tipo "additivo" di materia smalto su metallo, e non è quindi da confondere con la decorazione a smalto chiamata champlevé, che, come dice letteralmente lo stesso nome francese (campo levato) è invece sottrattiva; in quest'ultima tecnica infatti, il procedimento iniziale è simile, ma gli alveoli dove alloggia lo smalto non vengono aggiunti, bensì levigati a mano e quindi rifiniti.



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